Spazioprever lezioni in rete - I.I.S. "A. Prever" Pinerolo

 

Pascoli

Giovanni Pascoli Giovanni Pascoli

Risorse esterne

Il gelsomino notturno

La poesia è tratta dalla seconda opera di Pascoli, Canti di Castelvecchio, uscita nel 1903 come continuazione delle tematiche naturali, familiari e rurali di Myricae.

In questa opera, strutturata in sei quartine di novenari con rima alternata (un notevole omaggio alla musicalità poetica sancita dall’amatissimo autore simbolista Paul Verlaine), appaiono una serie di simboli che, a prima vista, potrebbero evocare un semplice paesaggio impressionista (la casa, i viburni del giardino, la farfalle notturne, l’erba che cresce nei cimiteri) ma che invece rimandano ad una simbologia tipica del Pascoli più intimo: il contatto con le anime dei defunti (ricorda che in greco il termine farfalla si scriveva “psiché”, che significava, etimologicamente, “anima”), la trasformazione delle grandi cose del mondo in sogni infantili (il fanciullino pascoliano ritiene che la costellazione delle Pleiadi sia simile ad una “chioccetta”, ovvero ad una gallinella, e che il cielo sia un cortile azzurro).

La poesia, tecnicamente, è un epitalamio, una poesia beneaugurale per celebrare un matrimonio.

Nonostante questo assunto, il suo contenuto non è affatto positivo, soprattutto se rivolto come augurio verso due neo sposi.

Nell’ora in cui, dopo che sono apparse in giardino le farfalle del crepuscolo, penso di più ai miei morti (cioè alla sera), si aprono i fiori notturni del gelsomino.

Tutto è silenzio, tutti i gridi del giorno tacciono;
solo si sente in lontananza una casa che ancora bisbiglia.

Gli uccelli dormono sotto le ali, così come gli occhi sotto le ciglia (è una sineddoche, ovvero una figura retorica che utilizza una parte per evocare il tutto: ciglia, parte terminale, sta infatti per palpebre).
In quel momento, in cui sorge e si spande l’odore di fragole rosse dai calici dei gelsomini (odore di fragole rosse è una sinestesia: accoppiamento di due sfere sensoriali diverse, odore+fragola), si vede ancora un lume acceso nella sala della casa lontano.

Proprio in quel momento, mentre il fiore notturno sta per essere fecondato, così come il ventre della neo sposa, si avverte che l’erba sulle tombe non ha mai smesso di crescere (richiamo fortissimo all’imprescindibilità della morte tanto per gli sposi che per il loro eventuale figlio). Si sente il ronzio di un’ape ritardataria che cerca di sistemarsi nell’alveare, Le Pleiadi, nel cortile celeste, si mostrano con tutto il seguito di stelle (“pigolio di stelle” è un’altra sinestesia; “aia azzurra” una metafora).

Per tutta la notte, il vento spande il profumo dolciastro del gelsomino; nella casa, si nota che il lume viene portato su per le scale, in camera da letto e poi spento.

Dopo che l’atto di impollinazione animale e umana si è svolto, durante la notte, ora tutto è finito.

È l’alba: si chiudono i petali un po’ sgualciti, rovinati (chiaro riferimento all’imene femminile rotta dopo il primo rapporto fisico): sia nell’utero femminile sia nel calice dei gelsomini sta per nascere chissà quale nuova felicità.

Quale sia realmente questa felicità nuova è difficile spiegarlo: sembra quasi che Pascoli si ponga un problema senza via di uscita: è meglio scegliere la purezza della verginità, condannandosi alla sterilità, oppure optare per la deflorazione, per la fine della purezza verginale, così da poter generare una nuova creatura?

Pascoli sceglie sicuramente la prima possibilità: se si genera un essere vivente, lo si obbliga a confluire nel fiume della vita, che lo porterà irreparabilmente alla morte e alla generazione di nuovo dolore esistenziale.

SERVIZI SPAZIOPREVER
HOMEPAGE