Spazioprever lezioni in rete - I.I.S. "A. Prever" Pinerolo

 

Pirandello

Uno nessuno centomila: copertina Uno nessuno centomila: copertina

Uno, nessuno e centomila (1926)

Tra il ’25 e il ’26, dopo una gestazione durata quindici anni, esce a puntate sulla Fiera letteraria l’ultimo romanzo, Uno, nessuno e centomila, che ha un lungo sottotitolo: “Considerazioni di Vitangelo Moscarda, generali sulla vita degli uomini e particolari sulla propria, in otto libri”; l’idea del romanzo nasce dalla novella Stefano Giogli uno e due del 1909.

Già in una lettera del 26 giugno 1910, indirizzata a Massimo Bontempelli:

«Se sapesse in quale tetraggine io mi sento avviluppato, senza più speranza di scampo!!! Lo vedrà dal mio prossimo romanzo - Moscarda-uno-nessuno-e centomila che sarà forse l’ultimo aceto della mia botte, la quale - dicono - continua a saper di secco».

E dieci anni dopo, in una intervista concessa all’«Idea Nazionale» del 10 febbraio 1920 fa capire l’importanza che attribuisce al romanzo:

«C’è un punto nel mio teatro che è rimasto ancora in gran parte oscuro per il pubblico: un punto che è fondamentale. Varrà, forse, a spiegarlo, un romanzo che spero di poter presto ultimare, Uno, nessuno e centomila, romanzo già annunziato e che ho dovuto interrompere, perché nella mia opera di narratore si è aperta questa parentesi del teatro, che mi auguravo si dovesse chiudere presto, e che invece, come purtroppo accade, è rimasta e rimane tuttora aperta per i molti impegni derivatimi dai primi lavori. In Uno, nessuno e centomila è studiato il dualismo dell’essere e del parere, la scomposizione della realtà e della personalità, il bisogno che l’essere ha dell’accadere infinito che si finisce nelle forme temporanee: il giuoco delle apparenze a cui noi diamo valore di realtà.»

La scomposizione della realtà e della intimità stessa del personaggio, nei suoi pensieri, nei suoi valori, nelle sue aspettative, nelle verità che riteneva raggiunte, porta l’individuo a una condizione di profonda solitudine nel momento in cui capisce che il suo essere non non corrisponde a nessuno di quelli che gli altri, ciascuno per proprio conto si immaginano e che quindi l’immagine che ciascuno si fa di se stesso non corrisponde all’immagine che gli altri si fanno di lui.

Da questo momento in poi proprio la solitudine sarà la compagna più fedele di Pirandello, superata soltanto quando si trova vicino a Marta.

Uno nessuno e centomila - Il romanzo è diviso in otto libri, al modo degli antichi.

Vitangelo Moscarda si trova davanti allo specchio guardandosi il naso che toccato in un certo punto gli fa male; la moglie lo osserva e gli chiede cosa sta facendo e alla risposta del marito (provo un certo dolorino) esclama con ingenuità:

“Credevo ti guardassi da che parte ti pende”.

Da questa stupefacente risposta Vitangelo si rende conto confusamente che sua moglie non lo vedeva allo stesso modo di come si vedeva lui, e comincia allora a cercare di rendersi conto di come veramente gli altri lo vedono a cominciare dalla moglie e dai suoi due soci in affari, Sebastiano Firbo e Stefano Quantorzo, per finire con le persone che più gli stanno vicino.

Dalla prima conoscenza con il se stesso diverso da quello che vedono gli altri, Moscarda trae la prima grande conclusione: di non essere per gli altri quello che fino ad allora aveva ritenuto di essere per sè.

La disintegrazione dell’individuo in tante forme di esistere quante sono quelle che ci danno le persone colle quali veniamo a contatto generano il problema della incomunicabilità e quindi di una condizione esistenziale dominata dalla solitudine.

Opera di René Magritte Opera di René Magritte

Moscarda cerca di ribaltare questa situazione generale, proponendosi come unico autore e generatore della propria forma di essere, distruggendo subito negli altri le forme che questi si creano. Il suo modo di agire non può che essere considerato folle dagli altri perché non allineato a nessuna delle forme che essi si sono create.

Alla fine a Moscarda non resta che ritirarsi in un ospizio dopo essersi privato di tutto, per “rinascere attimo per attimo”, come una sorta di rivincita dell’individuo sull’Enrico IV che resterà fisso nella sua follia perché l’unica forma che gli altri gli hanno dato e che lo ha immobilizzato una volta per tutte impedendogli di vivere.

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