Spazioprever lezioni in rete - I.I.S. "A. Prever" Pinerolo
(p.370)
La poesia viene scritta il 23 dicembre 1915, su Cima Quattro, in piena Prima guerra mondiale. Raffigura la “conversione” pacifista di Ungaretti. Partito con le peggiori intenzioni futuriste, soldato di leva volontaria (credeva infatti che la guerra rappresentasse l’unica condizione per purificare il mondo da quanto era vecchio e noioso, inutile e sorpassato), Ungaretti deve ricredersi in breve tempo. La guerra è sangue, dolore, morte e sofferenza, un evento incomprensibile, nel quale la morte non ha mai un vero perché.
In una notte di plenilunio, l’autore deve vegliare il cadavere di un commilitone morto, forse colpito da una scheggia di granata. Questo contatto con il nulla risveglia in lui la voglia di vivere, il bisogno di amore, il senso di fraternità nella sofferenza, la certezza che la precarietà è la condizione biologica fondativa dell’essere umano.
La sintassi fa massiccio ricorso ai participi passati (buttato, massacrato, digrnignata, volta, penetrata, attaccato): sono verbi con valore aggettivale e sostantivale che permettono al poeta la massima economia di termini, un concentrato di riflessione e di silenzio esaltato dal verso libero della struttura metrica.
Ungaretti passa la notte accanto ad un compagno di armi, morto da poco. Non è stato ucciso: è stato massacrato, non si sa da che cosa, ha la bocca contratta a causa del dolore atroce che l’ha afflitto sino al momento del trapasso. Essa è spalancata al chiaro di luna che splende sul campo di battaglia, il cadavere ha ormai le mani ormai bluastre per il rigor mortis. Questa congestione è penetrata per simpatia (ovvero per trasmissione, per comunicazione non verbale) nelle viscere del poeta e lo ha costretto a guardare la vita in faccia, per quel cumulo di dolore che è (vedasi di nuovo la concezione del mondo di Leopardi). Egli non può resistere alla morte in altro modo se non scrivendo lettere piene di amore, che esprimano, in modo silenzioso e intimo, il suo rinnovato, fortissimo, attaccamento alla vita.
La vita è il valore più effimero quando si è in guerra: come già ricordava Remarque nel romanzo Niente di nuovo sul fronte occidentale e come Ungaretti ribadirà nella poesia Soldati, la morte è l’unica certezza di chi esiste (esiste, quindi non vive) come se fosse una foglia d’albero che, sul ramo, attende il vento d’autunno che lo farà cadere. Può capitare oggi, stasera, domani, fra una settimana…
La sospensione dell’esistenza è l’unica certezza che rimane prima di affrontare la battaglia e il suo carico di morte.
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