Spazioprever lezioni in rete - I.I.S. "A. Prever" Pinerolo
La pizza ha una storia lunga, complessa e incerta. Le prime attestazioni scritte della parola "pizza" risalgono al latino volgare di Gaeta nel 997 e di Penne nel 1200 ed in seguito a quello di altre città italiane. In seguito, nel XVI secolo a Napoli ad un pane schiacciato venne dato il nome di pizza che deriva dalla storpiatura della parola "Pitta".
All'epoca la pizza era usata come un utensile da fornaio, una pasta usata per verificare la temperatura del forno. Piatto dei poveri, era venduta in strada e non fu considerata una ricetta di cucina per lungo tempo.
La pizza a Napoli fu popolarissima sia presso i napoletani più poveri che presso i nobili, compresi i sovrani borbonici. Il successo della pizza conquistò anche i sovrani di Casa Savoia, tanto che proprio alla regina Margherita di Savoia nel 1889 il pizzaiolo Raffaele Esposito dedicò la "pizza Margherita", che rappresentava il nuovo vessillo tricolore con il bianco della mozzarella, il rosso del pomodoro ed il verde del basilico.
Quella che oggi è chiamata pizza Margherita era tuttavia già stata preparata prima della dedica alla regina di Savoia. Francesco De Bourcard nel 1866 riporta la descrizione dei principali tipi di pizza, ossia quelli che oggi prendono nome di pizza marinara, pizza margherita e calzone(che è una pizza ripiegata su se stessa).
Bisogna tuttavia notare che già nel 1830, un certo "Riccio" nel libro Napoli, contorni e dintorni, aveva scritto di una pizza con pomodoro, mozzarella e basilico.
Sino al principio del Novecento la pizza e le pizzerie rimangono un fenomeno prettamente napoletano, e gradualmente italiano (nell'Italia settentrionale iniziò a diffondersi solo nel secondo dopoguerra), poi, sull'onda dell'emigrazione, iniziano a diffondersi all'estero ma soltanto dopo la seconda guerra mondiale, adeguandosi ai gusti dei vari paesi, diventano un fenomeno mondiale.
Gli italiani emigrati hanno fatto conoscere, apprezzare e anche modificare la pizza nel mondo. Oggi ormai anche molti cuochi di differenti nazionalità sono diventati esperti pizzaioli per i quali esiste anche un campionato mondiale dove misurarsi.
Ingredeienti | Quantità |
---|---|
Giorno prima | |
farina ”00” | 600g |
farina manitoba (il mix delle farine deve raggiungere i 280/350 W) | 400 g |
acqua | 600 g |
lievito di birra | 4-5 g |
Lavorare tutti gli ingredienti fino ad ottenere un impasto morbido ed elastico, rivestire con dell' olio di oliva e lasciare riposare +4° per 24 ore.
Ingredeienti | Quantità |
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farina ”00” | 600g |
farina manitoba (il mix delle farine deve raggiungere i 280/350 W) | 400 g |
acqua | 600 g |
sale | 40 g |
La pizza fritta a Napoli, è la regina dello “street food”, può essere“a portafoglio” o “a libretto”, è ancora popolarissima nella pausa pranzo partenopea.
Alla fine della seconda guerra mondiale la città, come tutto il Paese, era priva di tutto. Anche la pizza napoletana era diventata quasi un lusso: per farla ci voleva il forno a legna, e poi andava condita con la mozzarella e il pomodoro, che spesso non si trovavano, e comunque costavano. Ci voleva qualcosa di facile da fare per chi doveva venderlo, e di economico per chi doveva comprarlo.
Fu così che il napoletano inventò la “pizza fritta”. L’impasto è lo stesso della pizza “classica”, semplice ed economico: acqua, sale, farina e lievito. Poi però niente forno a legna: bastava una grossa padella piena d’olio, nella quale l’impasto veniva messo a friggere.
La pizza fritta, semitondeggiante, della forma della padella che la conteneva, era imbottita degli ingredienti meno costosi che si potessero trovare allora: la ricotta e i cigoli.
La ricotta arrivava in città dalla campagna, con i contadini che venivano a vendere la loro roba. Costava poco, e non sempre era abbastanza saporita: ci si aggiungeva allora un po’ di pepe, e soprattutto i “cigoli”: i pezzetti di grasso di maiale, anch’essi poco costosi, che sprigionavano un gustoso profumo.
La pizza fritta fu insomma un geniale sistema per aiutare le famiglie napoletane a sbarcare il lunario. Fuori dal basso venivano portate la fornacella e un bel padellone, e si poteva cominciare. Non mancavano le iniziative: famosa era la “pizza a otto”, chiamata così perché si poteva avere subito, ma si pagava dopo otto giorni.
Oggi la pizza fritta, che era stata un arrangiamento tutto napoletano per tirare avanti, senza però rinunciare all’idea della pizza, è poco richiesta, e la si può trovare soltanto in qualche pizzeria, ma solo a Napoli : nonostante sia facile da fare, la pizza fritta non è stata esportata nel mondo. E perciò non esiste un disciplinare che la garantisca e la protegga.
Della pizza napoletana fritta, e del periodo del suo massimo fulgore, è rimasta comunque una testimonianza illustre nel film “L’oro di Napoli”, regia di Vittorio De Sica, in cui Giacomo Furia, venditore di pizze fritte, va all’affannosa ricerca di un anello che la moglie infedele, una stupenda Sophia Loren, finge di aver perso nell’impasto. Con questo film si puo’ rivivere la Napoli del dopoguerra.
Ingredeienti | Quantità |
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Ingredienti Biga giorno prima | |
farina | 1 kg |
farina manitoba (il mix delle farine deve raggiungere i 280/350 W) | 400 g |
acqua | 600 g |
lievito di birra | 4 - 5 g |
Ingredeienti | Quantità |
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La Biga giorno prima | |
farina | 1 kg |
acqua | 600 g |
Olio extravergine di oliva | 50 g |
sale | 40 g |
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